DEMONOLOGY HIFI, IL NUOVO PROGETTO DI MAX CASACCI E NINJA
Dai concerti dei Subsonica ai dj set, con un solo obiettivo: redimere i peccatori!
Si scherza, ma Max Casacci e Ninja (Enrico Matta) hanno preso ispirazione proprio dalla musicalità dei predicatori statunitensi (ma anche quelli della nostrana Radio Maria che ha una frequenza “della Madonna, si prende ovunque!”) per un progetto fortemente esplorativo e sperimentale: si tratta di Demonology HiFi e Inner Vox, un disco che cerca di sintetizzare e rinchiudere, non senza difficoltà immaginiamo, in un ‘contenitore fisico’ – intendendo il cd ma anche la forma canzone – l’esperienza viva e pulsante dei dancefloor con cui il duo è venuto in contatto in questi ultimi due anni.
Sono diventati insomma dei veri predicatori del groove.
Quando e perché nasce Inner Vox?
Max – Questo progetto ha avuto origine due anni fa dai dj set che io e Ninja abbiamo cominciato a fare, con l’ambizione di divertirci, unendo l’ambito della musica elettronica a proposte provenienti da altri ambiti. Quando siamo andati avanti abbiamo capito che questo gioco stava diventato sistematico, abbiamo sentito l’esigenza di avere dei beat e abbiamo iniziato a pensare che potevamo creare noi delle strutture ritmiche e metterci sopra qualcos’altro. E così sono nate le fondamenta di questo album. Inoltre abbiamo sentito l’esigenza di separare questo progetto dal percorso della band, usando un avatar come avviene nella musica elettronica. Noi abbiamo creato un ambito narrativo, con canti gregoriani, voci di predicatori, e crocefissi led cinesi. Abbiamo giocato con i nostri ‘peccatori’ cercando di redimerli, perché dopo aver ballato per ore uno esce purificato. Inner Vox identifica molto bene il percorso tematico e narrativo dell’album che è fatto di dialoghi interiori, di coscienza. Un ronzio come quello degli insetti, come si deduce dalla copertina, che fa capolino tra una traccia e l’altra.
Che collegamento c’è tra Demonology HiFi e i Subsonica?
Ninja – C’è un elemento che collega Demonology HiFi al mondo dei Subsonica ed è la pulsazione, il ritmo della musica che suscita un coinvolgimento fisico. Questo è sempre stato importante, essenziale nei live, qui trova un maggiore spazio anche perché qui è sempre stato l’elemento di partenza. Le melodie sono state realizzate dagli ospiti del disco successivamente, mentre nelle canzoni dei Subsonica avveniva il contrario. Anche se qualcosa è stato usato anche per i nostri dischi come ad esempio i ritmi dispari (ad esempio Discolabirinto, che non è in 4/4).
Max -L’ambito di sperimentazione di questi anni è molto di più di quanto siamo riusciti a fare con i Subsonica e con le altre band con cui abbiamo suonato. Abbiamo avuto la possibilità di testare, di fare dei test diretti in consolle: se sgarri un beat di qualche bpm, un ingresso, un pezzo è più fiacco dell’altro, lo vedi subito. Ed è un rapporto molto appassionante tra la musica che stai scegliendo e come la stai somministrando. In questi due anni abbiamo testato chirurgicamente i beat, i ritmi, i nostri mix prima di arrivare a questo risultato finale. Paradossalmente è un album che ha avuto uno studio molto più lungo di qualsiasi album dei Subsonica, che nascendo dall’esuberanza di cinque musicisti diventa un lavoro di sottrazione. Qui invece è stata un’addizione costante e molto scientifica, protratta nel tempo.
Come sono stati scelti i collaboratori di questo disco (Cosmo, Birthh, Niagara, Populous, Bunna degli Africa Unite)?
Max – Non abbiamo scelto l’ospite sensazionale, ci siamo riferiti a quella nuova generazione di artisti italiani (stiamo attraversando a questo proposito una fase molto interessante) che approcciano la musica e si confrontano anche con l’universo della musica oltre confine. Per la prima volta senza abbassare la testa, considerandosi artisti di serie B: Birthh è una straordinaria artista di 19 anni, fiorentina, che incide per un’etichetta di San Francisco, e i Niagara incidono per un’etichetta di Londra, sono insomma tutti musicisti perfettamente integrati nello scenario internazionale e capaci di arrivare in radio, come ad esempio Cosmo, dopo aver fatto un lungo percorso di relazione con il proprio pubblico. Come abbiamo fatto noi alla fine degli anni Novanta.
Avete lavorato solo su queste tracce oppure ci sono altri pezzi che non sono stati inclusi nel disco?
Max – Abbiamo cose che sono rimaste nei computer in forma di base, che potranno essere spunti per il futuro. Però una base può anche bastare nella funzionalità del dj set. Pensavamo per un album di andare un po’ più a fuoco, di trasformare questi impulsi sonori in tracce. Alcuni di questi brani erano più funzionali per trasformare una suggestione ritmico-sonora in canzone, con altri il percorso è rimasto un po’ più indietro. Queste sono 11 tracce, per noi la durata è più che sufficiente. Siamo più affezionati forse alla durata dei vecchi lp che alle possibilità del cd, di estendere all’infinito la proposta per poi rischiare di annacquare tutto quanto.