MAURO ERMANNO GIOVANARDI, “MI SON SENTITO PRONTO SOLO ADESSO A FARE UN DISCO COSI'”
Anche se non è stato fatto con un intento nostalgico il disco La mia generazione di Mauro Ermanno Giovanardi mi fa essere nostalgica lo stesso: è vero, gli anni Novanta per una strana congiunzione astrale sono stati anni grandiosi per la musica italiana, tra Subsonica (Lasciati), Afterhours (Non è per sempre), Bluvertigo (Cieli neri), Neffa (Aspettando il sole), Ritmo Tribale (Huomini), Ustmamò (Baby Dull), Casino Royale (Cose difficili), Massimo Volume (Il primo Dio), Mau Mau (Corto Maltese), Cristina Donà (Stelle buone), Marlene Kuntz (Lieve), CSI (Forma e sostanza), i La Crus stessi (Nera signora).
Quegli anni in cui tornavi a casa da scuola e accendevi su Select, quegli anni in cui cercavi di accaparrarti un biglietto per Sonic, quegli anni in cui dopo anni di vuoto una piccola scena, indipendente, è riuscita pian piano a farsi strada e quasi a competere con quello che si sentiva all’estero. Come ci ha raccontato il cantautore nel corso di un incontro con la stampa:
Noi tutti arrivavamo da esperienze alternative, sperimentazioni, tutte queste canzoni hanno forme diverse. Però c’erano le canzoni. Ho cercato di raccontare un momento – che ho chiamato irripetibile – in cui sono intervenute alcune congiunzioni astrali favorevoli che hanno provocato delle rivoluzioni. Un momento in cui noi tutti abbiamo capito quanto fosse necessario farci capire a quelli che erano in prima fila. Siamo maturati in quello, e contemporaneamente le major si sono accorte che esisteva un sottobosco musicale che poteva essere capito e apprezzato da un pubblico più vasto. Poi c’era una fetta di pubblico, oggi la chiamiamo target, che ascoltava roba anglofona, che era un po’ orfana in Italia di quel tipo di background. E noi siamo arrivati nel momento giusto. Tutti noi ci chiedevamo “Ma l’anno scorso questa gente dov’era?”.
Ai La Crus è successo come nei film: se in un film si racconta come un gruppo è stato messo sotto contratto dalla Warner è quello che è successo a noi. Davide Sapienza faceva un programma che si chiamava Tortuga, era un contenitore culturale che andava in onda su Rai 3: Davide sapeva che stavamo facendo un disco e ci invita in trasmissione. C’era anche Enrico de Angelis, che presentava un libro su Ciampi (Piero, cantautore ndr). Facciamo questa versione de Il Vino ed Enrico impazzisce, e l’anno successivo ci invita al Tenco come gruppo scoperto da loro, senza nemmeno fuori un disco. Facciamo tre pezzi, scendiamo dal palco, mezz’ora dopo abbiamo un contratto con la Mescal (che nasce in quelle settimane), mezz’ora dopo abbiamo un contratto con la Warner, con Tino Silvestri con cui abbiamo fatto 8 dischi.
Quell’epoca è stata insomma qualcosa di speciale, che (anche se oggi si cerca di trovare a tutti i costi delle similitudini con quello che sta accadendo tra le cosiddette band indie) è imparagonabile con altri momenti della storia della musica italiana e (purtroppo) irripetibile.
Le rivoluzioni accadono appunto perché ci sono particolari congiunzioni astrali. Perché è finita? Secondo me dobbiamo iniziare a pensare alla musica come un periodo pre internet e post internet. Oggi la situazione sociale e culturale è troppo diversa. In quegli anni lì era più importante andare ad un concerto che mettere un mi piace. Era completamente diverso l’approccio della musica, la fruizione della musica. Mi sembra che si sia perso quell’aspetto sacrale di appartenenza.
La mia generazione è un album che, diciamolo, ci voleva. Per riascoltare alcune canzoni del passato che meritano di essere riportate alla luce, per farle riascoltare a noi, che quegli anni li rimpiangiamo, ma anche per farle conoscere alle nuove generazioni. In una veste nuova ma al tempo stesso sia rispettosa della versione originale:
Per ogni canzone ho cercato di rispettare lo spirito originario. Volevo farne una versione mia che fosse il più credibile possibile, che tenesse botta con l’originale.
Ho voluto fare un omaggio ad una stagione, quasi a storicizzarla, e ho pensato a come poterlo fare nel modo meno retorico possibile. Volevo sottolineare il momento storico importante, volevo come farne dei classici. In quei brani c’era dentro di tutto, è stato un lavoro complesso, avevo moltissimi elementi. Siccome volevo fare un omaggio sincero ho messo tanti paletti, è in disco in cui ho messo tantissimo cuore ma soprattutto tantissima testa. Quasi come fossi un antropologo, per sottolineare un momento importante della stagione musicale italiana.
Però riuscire a mettere insieme tutti i tasselli è stata un’impresa:
Quando ho iniziato a lavorarci mi sono reso conto che sarebbe stato il mio album più difficile, più pericoloso e anche più rischioso. Ma era un po’ che ci pensavo, dal momento in cui ci ho pensato ci ho messo un anno. Ho cercato in tutti i modi di non fare un disco di cover, perchè se fosse stato un disco di cover ci avrei messo meno tempo. Volevo che passasse l’onestà, la sincerità, e anche l’umiltà. Come un attore si mette a disposizione del copione mi sono messo a disposizione delle canzoni. Mi sono sentito pronto solo adesso a fare un disco così: non tanto per una questione musicale, per una questione da interprete. Perché cantare una canzone di Mina è più facile che cantarne una di Ferretti.
La mia generazione esce il 22 settembre via Warner Music. Nelle 13 tracce sono presenti come ospiti anche Manuel Agnelli, Rachele Bastreghi, Emidio Clementi e Cristiano Godano e Samuel.
Foto | Silva Rotelli