TRIVIUM: “THE SIN AND THE SENTENCE” SECONDO PAOLO GREGOLETTO
I fan dei Trivium non dovranno aspettare ancora molto per ascoltare The Sin and The Sentence, il loro nuovo disco che uscità venerdì 20 ottobre per Roadrunner Records e che è il primo con il nuovo batterista Alex Bent. L’album arriva a distanza di due anni da Silence in the Snow, un periodo di tempo che all’apparenza è molto breve ma che in realtà è strettamente legato alla voglia di produrre sempre nuova musica che da sempre anima la band. Ci ha spiegato, questo e molto altro, il bassista Paolo Gregoletto.
Che tipo di lavoro avete fatto su The Sin and The Sentence, il vostro album di prossima uscita?
Amiamo da sempre provare e fare jam tutti insieme prima di iniziare a lavorare su un disco. La pre-produzione di The Sin and The Sentence si può dividere in due momenti: abbiamo iniziato a lavorarci un po’ prima di andare in studio, abbiamo scritto molto. Poi è arrivato Josh Wilbur (il produttore ndr.), che ha fatto un mix del materiale, e abbiamo registrato tutto negli ultimi 10 mesi. Inoltre per questo disco in particolare abbiamo provato le canzoni pensando a come avrebbero reso live. Per il disco precedente abbiamo provato molto meno, e lavorato di più al pc: quando lavori molto sulle tracce ma non le suoni non ti accorgi subito se c’è qualcosa che non funziona, se le provi invece puoi modificarle. Quando compongo i miei demo posso fare quello che voglio, e far sì che tutte le parti stiano bene insieme, ma il vero banco di prova è la saletta, quando suoniamo tutti.
Quindi questa volta avevate già le idee chiare sul disco prima di andare in studio a registrarlo
Questa volta sì: il 90% di quello che è poi finito nell’album lo abbiamo composto in sala prove. Abbiamo lavorato sui testi all’inizio di ogni canzone, non abbiamo aspettato fino alla fine. Altre volte ci è capitato di aspettare di andare in studio prima di scrivere i testi, ma non ci è piaciuta questa modalità. E’ una cosa nuova per noi, in un sacco di dischi metal le liriche sono state messe insieme una volta che era pronta la musica. In questo modo invece inizi a scrivere la musica, passi alla linea vocale, riscrivi la musica per adattarla meglio al testo, e così via.
Vi è mai successo scrivendo di bloccarvi in un particolare passaggio e non riuscire più ad andare avanti? Come avete risolto la situazione?
Quando succede è sempre meglio provare qualcosa di nuovo. Se ti impunti senza modificare niente, e la cosa non funziona, continuerà a non funzionare. Magari poi tieni buono quel determinato riff per qualche altra canzone, e così succede con i testi. Ti devi chiedere: cosa mi piace di più di questa canzone? Ti piace di più il riff? La linea vocale? Se la linea vocale e il testo vanno bene, magari cambi solo il riff. Se non ti interessa tenere il testo o la linea vocale allora tieni il riff e cambi tutto il resto. Bisogna andare per tentativi: non esistono tecniche giuste o sbagliate, devi sempre capire cosa è meglio per te perché ogni canzone è unica. E ogni volta che registri impari sempre qualcosa di nuovo, impari anche qualcosa dai produttori. Noi consideriamo ogni nuovo disco un passo in avanti per imparare a scrivere sempre meglio.
Ti è mai capitato di riascoltare le vostre vecchie canzoni e voler cambiare qualcosa?
Di solito mi capita di ascoltare il nostri vecchi dischi prima di andare in tour, per ripassare i pezzi, non lo usiamo come modello per realizzare il nuovo materiale. Se non ascolti le vecchie cose rischi di perdere il contatto con il tuo passato, ma noi sappiamo bene quello che siamo stati e ci viene naturale scrivere sempre qualcosa di diverso. E’ difficile bilanciare le cose: non vogliamo essere nostalgici nei confronti dei vecchi album, vogliamo proporre nuove idee, ma vogliamo comunque che quello che scriviamo di nuovo abbia il sound dei Trivium.
Siete una band che ha molti fan affezionati nel nostro Paese…
Credo sia dovuto al fatto che siamo venuti qui molto spesso in tour: suonare live è sempre stata la nostra migliore pubblicità. E poi abbiamo cercato di far uscire sempre un disco ogni due anni circa, album che poi abbiamo portato in giro a volte da headliner a volte accompagnando altre band.
Quanto conta l’aspetto live per una band come la vostra e come fate a conciliare i tour con il pubblicare spesso nuovo materiale?
Bisogna stare attenti: se fai troppi tour e non pubblichi cose nuove rischi di perdere la tua vena creativa. Guarda ad esempio i rapper: certo, non hanno bisogno della produzione che ha una band, ma fanno tour e creano musica in continuazione. Noi siamo un gruppo che pubblica nuovo materiale costantemente, se aspetti troppo tempo la gente inizia a perdere interesse nei tuoi confronti, e al tempo stesso suonare è comunque quello che amiamo fare, e quello che diamo quando siamo sul palco ci ha aiutati a costruire una fanbase solida (in Italia ma anche in altri luoghi).
Questi ritmi di produzione di nuova musica ti/vi hanno mai fatti sentire sotto pressione?
Se avessimo più tempo registreremmo molto di più, amo registrare nuove canzoni. In generale non lo sentiamo come un lavoro vero e proprio, se inizia a pesarti allora devi iniziare a riconsiderare il tuo rapporto con la musica, se è quello che vuoi fare davvero. Perché dentro di te dovresti sentire proprio il bisogno di fare musica: ogni volta che finiamo un tour ad esempio io non vedo l’ora di entrare in studio, ho proprio bisogno di nuova musica. E’ un concetto difficile da spiegare, ma dopo due anni di tour hai un sacco di cose nuove da raccontare, per questo non ci siamo mai sentiti sotto pressione.